È l'8 luglio 1709. Nelle pianure dell'Ucraina, due mondi si scontrano per l'egemonia del Nord Europa. Da una parte l'invincibile armata svedese di Carlo XII, dall'altra la Russia modernizzata dello Zar Pietro il Grande. Quella che doveva essere una semplice formalità militare si trasformerà nel disastro che ridisegnerà la mappa del continente.
Pubblicato: 14/12/2025
Ultima modifica: 14/12/2025
Per capire cosa accadde quel fatidico giorno a Poltava, non possiamo limitarci a guardare le mappe militari. Dobbiamo fare un passo indietro e annusare l'aria che si respirava in Europa all'inizio del XVIII secolo.
Immaginate la Svezia non come la conosciamo oggi, pacifica e neutrale, ma come una superpotenza militare aggressiva, forgiata decenni prima da Gustavo Adolfo. Il Mar Baltico era, di fatto, un lago svedese. A regnare c'era Carlo XII, un ragazzo salito al trono a quindici anni, un genio tattico capace di leggere il campo di battaglia in un istante, ma anche un uomo di un'arroganza fatale, convinto che la volontà potesse piegare la realtà.
Dall'altra parte c'era la Russia. Fino a pochi anni prima era considerata una nazione arretrata, "barbarica", ma sul trono sedeva ora un uomo di una statura fisica e morale gigantesca: Pietro I il Grande. Uno Zar che non esitava a sporcarsi le mani lavorando come carpentiere nei cantieri navali olandesi per imparare a costruire navi. Pietro aveva un'ossessione: aprire una "finestra sull'Europa", e quella finestra era il Baltico.
Non si arriva a Poltava per caso. È il risultato di una catena di eventi ed errori di calcolo che ricordano, in modo inquietante, quelli che commetterà Napoleone un secolo dopo.
Carlo XII aveva invaso la Russia con l'obiettivo di marciare su Mosca. Ma Pietro il Grande, pragmatico e astuto, sapeva di non poter affrontare gli svedesi in campo aperto all'inizio della guerra. Così, adottò la terribile tattica della Terra Bruciata. Mentre l'esercito russo indietreggiava, distruggeva tutto: cibo, foraggio, ripari.
L'inverno del 1708-1709 fu impietoso. L'esercito svedese, affamato e congelato, fu costretto a deviare verso sud, verso l'Ucraina. Perché? Perché lì c'era una promessa. L'atamanno (comandante supremo) dei Cosacchi, Mazepa, aveva tradito lo Zar promettendo a Carlo XII viveri e ben 30.000 uomini.
Fu la prima grande delusione per il re svedese: Mazepa arrivò al campo, sì, ma con appena 2.000 cosacchi. La popolazione ucraina era rimasta fedele allo Zar o terrorizzata dalla repressione russa (come la distruzione di Baturin). Senza cibo, senza rinforzi e con le linee di rifornimento del generale Lowenhaupt intercettate e distrutte dai russi a Lesnaya, Carlo XII si trovò in trappola davanti alla piccola fortezza di Poltava.
Arriviamo all'alba della battaglia. Le forze in campo erano impietosamente sproporzionate.
Ma c'è un dettaglio umano che fa la differenza. Pochi giorni prima, durante una scaramuccia, Carlo XII era stato ferito a un piede. Lui, il condottiero che guidava sempre le cariche in prima linea, quel giorno non poteva montare a cavallo. Dovette essere trasportato su una barella, incapace di avere la visione d'insieme del campo.
Pietro il Grande, invece, aveva preparato il terreno con cura maniacale. Aveva fatto costruire una serie di fortificazioni campali, le ridotte (fortini di tronchi e terra), disposte a forma di "T" per spezzare l'assalto svedese.
Il piano svedese prevedeva un attacco all'alba per cogliere i russi di sorpresa. Ma la complessità del sistema difensivo russo creò il caos.
L'ala destra svedese, comandata dal generale Roos, rimase imbottigliata nel tentativo di conquistare le ridotte. Mentre il resto dell'esercito svedese avanzava, Roos perse il contatto. Fu un errore fatale. Pietro se ne accorse e inviò il generale Menshikov con 10.000 uomini a circondare e annientare il contingente isolato di Roos.
Carlo XII, dalla sua barella, non seppe nulla di questo disastro fino a quando fu troppo tardi. Attese invano l'arrivo di Roos per sferrare l'attacco finale, convinto che le truppe che vedeva in lontananza fossero i suoi rinforzi. Erano invece i russi che tornavano dopo aver massacrato i suoi uomini.
Quando finalmente lo scontro arrivò al corpo a corpo finale, non ci fu storia. Gli svedesi, eroi di tante battaglie, si lanciarono in una carica disperata contro la linea russa. Ma questa volta i russi non scapparono come a Narva nove anni prima.
La fanteria russa, addestrata alla maniera occidentale e sostenuta da un fuoco d'artiglieria devastante, resse l'urto. Pietro il Grande in persona si gettò nella mischia: la sua stazza imponente lo rendeva un bersaglio facile, tanto che fu colpito da tre pallottole (una fu miracolosamente deviata dal crocifisso che portava al collo).
Per gli svedesi fu un macello. La barella di Carlo XII fu colpita da una palla di cannone e il re fu sbalzato a terra; 21 dei 24 uomini della sua scorta morirono. Alla fine della giornata, sul campo restarono 9.000 soldati svedesi morti e quasi 3.000 prigionieri. L'intero stato maggiore fu catturato.
Carlo XII riuscì a fuggire per il rotto della cuffia, attraversando il fiume Dnepr per cercare rifugio presso i turchi ottomani. L'esercito svedese, privo di guida, si arrese in massa pochi giorni dopo.
Perché la Battaglia di Poltava è così importante? Non fu solo una vittoria militare. Fu il momento esatto in cui il pendolo della storia europea si spostò da Stoccolma a San Pietroburgo (la città che Pietro aveva fondato solo pochi anni prima, nel 1703).
Le conseguenze furono sismiche:
Come direbbe un osservatore dell'epoca: "Le fondamenta di San Pietroburgo furono cementate con il sangue svedese versato a Poltava". Quel giorno, l'Europa scoprì che a Est era nato un Impero.
Studente di Storia
Ciao, sono al secondo anno di storia all'università e scrivo articoli man mano che studio per gli esami. Mi piace programmare siti web dunque eccomi qua.
Articolo pubblicato il 14/12/2025
Ultimo aggiornamento il 14/12/2025