Se potessimo visitare una casa nel Medioevo, la nostra prima reazione non sarebbe la curiosità, ma lo shock: la vita quotidiana in quei secoli era una negoziazione continua con l'ambiente e il comfort moderno era inesistente. Questo riassunto completo esplora l'evoluzione delle Case Medievali e dell'architettura urbana, analizzando come erano costruite (dal legno e terra alle imponenti case-torri), le tecniche per il riscaldamento e l'igiene, e come l'invenzione dei portici (come a Bologna) plasmò lo spazio cittadino. Un viaggio per capire come i nostri antenati trasformarono la casa in una vera "macchina per la sopravvivenza".
Pubblicato: 27/11/2025
Ultima modifica: 05/12/2025
Se noi, uomini e donne del ventunesimo secolo, potessimo compiere un viaggio nel tempo per scoprire com'erano fatte le case nel Medioevo, la prima reazione non sarebbe la curiosità, ma lo shock. Immaginate di essere catapultati improvvisamente dentro un’abitazione del 1200: dimenticate il comfort moderno, perché la vita quotidiana nel Medioevo era una negoziazione continua con l'ambiente.
Per capire davvero l'architettura medievale, dobbiamo cancellare l'idea di casa come luogo di privacy e igiene assoluta. In questo articolo entreremo fisicamente in questi spazi per rispondere alle domande più comuni: come si chiamavano le case medievali e perché non si usava più il termine domus? Come si riscaldavano nel Medioevo senza termosifoni e come erano le finestre nel Medioevo senza vetri? Dalle vertiginose case-torri medievali nate per la guerra, all'uso delle finestre impannate e ai materiali di costruzione poveri ma geniali, scopriremo come i nostri antenati trasformarono la casa in una vera "macchina per la sopravvivenza".
Prima ancora di parlare di mattoni e travi, dobbiamo parlare di parole. Perché le parole non sono solo etichette che appiccichiamo alle cose; le parole sono la spia di come la gente pensa, di come vede il mondo. E la storia della parola "casa" è, da sola, una lezione di storia medievale.
Pensateci: noi parliamo una lingua neolatina. L'italiano deriva dal latino. E in latino, quello classico, quello di Cicerone e di Cesare, come si chiamava l'abitazione? Si chiamava domus. La domus era la casa signorile, quella con l'atrio, il peristilio, le colonne, l'acqua corrente. Era un simbolo di status, di civiltà urbana, di potere.
Eppure, oggi noi non abitiamo in una domus. Noi abitiamo in una "casa". E questa parola, casa, in latino classico esisteva, ma voleva dire un'altra cosa. Voleva dire capanna. Voleva dire baracca, tugurio, rifugio precario fatto di pali e frasche, quella dove vivevano i pastori o i contadini poveri.
Cosa è successo? È successo che il mondo antico è crollato. E con esso è crollata l'economia che rendeva possibile la domus. Senza acquedotti funzionanti, senza un sistema di schiavi che scalda l'acqua per le terme, senza le navi che portano marmi dall'Africa, la domus diventa impossibile da mantenere. E così, piano piano, nei secoli bui (che poi così bui non erano, ma certamente erano più poveri di infrastrutture), la domus sparisce dal paesaggio quotidiano.
Tutti, o quasi tutti, finiscono per abitare in strutture che assomigliano molto più alla vecchia casa rurale che al palazzo cittadino. E la parola casa vince. Si prende tutto lo spazio semantico. Diventa la parola normale per dire abitazione. In Spagna succede lo stesso (casa), in Italia anche. In Francia invece vince un'altra radice, mansio (da manere, restare, fermarsi), che diventa maison, a ricordarci che la casa è il luogo dove ci si ferma, dove si sosta.
Ma la parola domus non muore del tutto. Fa una carriera folgorante, ma in un altro ambito. Si specializza. Si eleva. Diventa la Domus Dei, la casa del Signore. E da lì, nel volgare italiano, diventa il "Duomo".
È affascinante, se ci pensate. La parola che indicava la casa degli uomini ricchi diventa la parola per la casa di Dio. Mentre la parola per la capanna dei poveri diventa la casa di tutti gli uomini. Questo slittamento linguistico ci dice che la gerarchia del mondo è cambiata. Il lusso, la stabilità eterna, la pietra squadrata appartengono ora a Dio e alla Chiesa. Agli uomini resta la precarietà, il legno, la terra.
Ma nei documenti notarili, quelli aridi e noiosi che però ci dicono la verità, troviamo anche altre parole che ci aiutano a capire com'era fatta questa casa.
Troviamo il termine sedimen. Il sedimen non è solo la casa, è l'insieme: la casa più il terreno su cui sorge, l'orto, il cortile. Perché nel Medioevo la casa non è quasi mai solo un tetto. È un'unità produttiva. Si vive, si lavora, si coltiva tutto nello stesso spazio.
E poi c'è un termine bellissimo e terribile che usavano i Longobardi: clausura.
La casa è una clausura. Qualcosa di chiuso, di recintato.
In un mondo pericoloso, dove la violenza è endemica e non c'è una polizia che ti protegge chiamando il 112, la prima funzione della casa è difenderti. Devi chiudere fuori il mondo. Costruire uno steccato, una siepe, un muro. La casa è il tuo recinto di sicurezza contro un esterno ostile.
Capite dunque che quando parliamo di "casa medievale", stiamo parlando di un concetto difensivo e produttivo, molto prima che estetico o di comfort.
| Termine Latino | Significato Classico | Esito Medievale/Moderno | Concetto Sottostante |
|---|---|---|---|
| Domus | Casa signorile urbana | Duomo (Casa di Dio) | Sacralizzazione dello spazio di prestigio |
| Casa | Capanna, tugurio | Casa (Abitazione generica) | "Democratizzazione" della precarietà |
| Mansio | Sosta, fermata | Maison (Francese), Magione | L'abitare come "restare" |
| Clausura | Chiusura | (Concetto giuridico/difensivo) | La casa come fortezza/recinto |
C'è questa vecchia idea, che ancora si sente in giro, secondo cui con la caduta dell'Impero Romano gli uomini si sarebbero improvvisamente rimbecilliti. Avrebbero "disimparato" a costruire in pietra, a fare i tetti di tegole, a mescolare la calce.
Non è andata così. Gli uomini del Medioevo non erano stupidi. Erano poveri, e soprattutto erano pragmatici.
Nell'Alto Medioevo (diciamo dal VI al X secolo), l'economia è collassata. Le grandi cave di pietra sono chiuse o irraggiungibili. I trasporti costano una follia. Non puoi far arrivare il marmo da Carrara a Milano se le strade sono paludi e i ponti sono crollati.
E allora cosa fai? Costruisci con quello che hai.
E cosa hai nell'Alto Medioevo, in un'Europa che si sta spopolando e dove la natura si sta riprendendo i suoi spazi? Hai foreste. Hai legno. Hai fiumi pieni di argilla e canneti.
L'Alto Medioevo è una civiltà del legno. La casa tipica, anche quella del signorotto locale, non è un castello di pietra (quelli arriveranno dopo). È una struttura organica.
Si piantano pali nel terreno (i famosi "buchi di palo" che fanno impazzire gli archeologi, perché il legno marcisce e resta solo il buco riempito di terra diversa). Si crea un'ossatura. E poi?
Poi si tampona. Si crea un intreccio di rami flessibili, il graticcio (in inglese wattle), e lo si ricopre con un impasto di argilla, paglia, sterco di vacca e acqua. È il torchis, o daub.
Voi direte: "Che schifo, vivevano nel fango".
E invece no! Questa tecnica è straordinaria. L'argilla, una volta seccata, diventa dura come la pietra. Se la intonachi con un po' di calce (e la calce la sapevano fare), diventa impermeabile e bianca, pulita.
Ma soprattutto, questa parete è un isolante termico formidabile. Molto meglio della pietra. Una casa in legno e terra, se ben costruita, d'inverno è calda e d'estate è fresca.
Certo, ha un difetto mortale: brucia. E deve essere mantenuta costantemente. Il tetto di paglia va rifatto, l'intonaco va rappezzato. La casa è un organismo vivo, biologico, che invecchia e muore con i suoi proprietari.
Il problema di queste case è che non lasciano rovine maestose. Quando vengono abbandonate, tornano alla terra. Per questo per molto tempo abbiamo pensato che l'Alto Medioevo fosse un'epoca "vuota". Non era vuota, era biodegradabile.
In queste case, cosa c'era dentro? Poco.
Il concetto di "arredamento" come lo intendiamo noi (il design, l'estetica, il mobile che riempie lo spazio) non esisteva.
L'arredo era funzionale alla sopravvivenza. Gli inventari ci parlano di "pochi oggetti indispensabili".
Il tavolo? Spesso era solo una tavola di legno appoggiata su cavalletti. Si montava per mangiare e si smontava per dormire (da qui l'espressione "mettere tavola" o "levare la tavola").
Il letto? Un lusso. Spesso era un pagliericcio.
La cassapanca? Quella era fondamentale. Era l'armadio, la valigia, la sedia e a volte il letto per il bambino. Tutto doveva essere mobile, pronto a essere portato via se la casa prendeva fuoco o se bisognava scappare.
Non c'era l'idea di "accumulare" mobili. Il mobile era uno strumento, come la zappa o la spada.
Poi, qualcosa cambia. Intorno all'anno Mille, l'Europa si sveglia. La popolazione cresce. I commerci ripartono. Le città, soprattutto in Italia, cominciano a gonfiarsi.
A Bologna, a Firenze, a Milano, lo spazio comincia a mancare. Non si può più costruire larghi, con l'orto e la capanna. Bisogna stringersi. Bisogna salire.
E il legno, in città, è pericoloso. Un incendio a Londra o a Milano poteva bruciare tremila case in una notte.
I Comuni cominciano a incentivare, o a obbligare, l'uso del materiale ignifugo.
Torna il mattone. La Pianura Padana riscopre l'argilla non come fango da spalmare, ma come cotto da impilare. Le fornaci si riaccendono.
È una rivoluzione industriale. Il mattone è standard, modulare, facile da trasportare. Nasce la "Città Rossa". Le case diventano più solide, più alte, più strette.
Nasce la tipologia della casa a schiera: stretta sulla strada (perché il fronte strada costa caro in tasse), profonda all'interno. Bottega sotto, abitazione sopra.
Ma la città medievale è un organismo in tensione. C'è una lotta continua tra il privato, che vuole rubare spazio, e il pubblico, che vuole mantenere le strade aperte.
I proprietari inventano gli "sporti".
Cosa sono? Sono i balconi, le stanze a sbalzo. Tu costruisci la base sul tuo terreno, ma dal primo piano in su ti allarghi verso la strada, "rubando" aria al Comune. Le case si sporgono l'una verso l'altra, quasi a toccarsi.
Le strade diventano tunnel, bui e stretti.
I Comuni reagiscono con gli Statuti. È una guerra di regolamenti. "Nessuno può fare uno sporto che sporga più di tot braccia". "Bisogna lasciare passare la luce".
Ma il genio italiano trova il compromesso: il portico.
Bologna è l'esempio supremo. Il Comune dice: "Vuoi allargarti? Bene. Ma devi lasciare il passaggio pubblico sotto".
Nasce il portico. Spazio privato (è casa tua, ci costruisci sopra), ma uso pubblico (ci cammina la gente).
Gli Statuti del 1288 a Bologna sono chiarissimi e pragmatici: il portico deve essere alto almeno 7 piedi bolognesi (circa 2,66 metri). Perché?
Perché deve passarci un uomo a cavallo!
Non è una misura astratta. È la misura della mobilità dell'epoca. L'uomo a cavallo è il camion, è il taxi, è il vip del Medioevo. Se il cavaliere sbatte la testa, il portico è illegale e te lo faccio abbattere.
Questa norma ha plasmato l'estetica delle nostre città. Quella bellezza che vediamo oggi non è nata solo dall'arte, ma dalla burocrazia e dalla necessità di far convivere traffico e abitazione.
Se camminate a San Gimignano o guardate le Due Torri a Bologna, vedete l'estrema conseguenza di questa fame di spazio e di potere: la casa-torre.
Attenzione però: non fatevi ingannare dal romanticismo. Vivere in una torre era un incubo.
Le torri non nascevano per il comfort. Nascevano per due motivi: la guerra e l'orgoglio.
La guerra urbana tra Guelfi e Ghibellini, tra Montecchi e Capuleti, era una realtà quotidiana. La torre era un bunker verticale. Ci si chiudeva dentro, si ritiravano le scale, e si tiravano sassi da sopra.
L'orgoglio era altrettanto importante. "Io ce l'ho più alta della tua". Era una gara fallica di pietra tra le famiglie potenti.
Ma com'era viverci dentro? Immaginate una stanza sopra l'altra, per dieci piani.
Le scale? Spesso non erano in muratura, ma a pioli, o ripide scalette di legno, strette, buie. Immaginate di doverle fare dieci volte al giorno.
Le stanze erano piccole, quadrate, con muri spessi un metro che rubavano spazio interno.
C'era un problema logistico fondamentale: la cucina.
Dove la mettiamo la cucina?
Se la mettete al piano terra, è comodo per portare l'acqua e la legna. Ma se prende fuoco (e le cucine prendevano fuoco sempre, con fiamme libere, grasso che cola, scintille), il fumo e le fiamme salgono. La torre diventa una ciminiera. Morite tutti arrostiti o soffocati ai piani di sopra.
Quindi? Soluzione geniale e faticosa: la cucina si mette all'ultimo piano.
Sì, avete capito bene. In molte case torri e palazzi comunali, la cucina è in cima.
Se scoppia l'incendio, brucia il tetto. Pazienza. La famiglia ai piani sotto si salva. I documenti nella cassaforte si salvano.
Certo, questo voleva dire che i servi dovevano portare secchi d'acqua e fascine di legna su per dieci piani di scale ogni santo giorno. Ma la fatica dei servi, nel Medioevo, è una risorsa rinnovabile e a basso costo. La sicurezza del padrone no.
"Faceva un freddo cane". Questo è quello che pensiamo. E in parte è vero. Ma c'è una sorpresa.
Alcuni studi recenti di archeologia sperimentale suggeriscono che le case "povere", quelle di legno e terra, o le case con pareti a graticcio e torchis, potevano essere più calde dei grandi palazzi di pietra.
Il legno e la paglia isolano. La pietra nuda no. La pietra assorbe l'umidità e il freddo e te li restituisce con gli interessi.
Quindi, paradossalmente, un contadino nella sua capanna, magari con la stalla al piano di sotto e il calore delle bestie che saliva (il riscaldamento a pavimento biologico!), poteva soffrire meno il freddo del castellano nella sua immensa sala affrescata piena di spifferi.
Come si scaldavano?
Il camino a parete, quello che piace a noi, elegante, con la cappa, arriva tardi. Si diffonde bene solo dal XIII secolo in poi.
Prima, e per molto tempo nelle case comuni, il fuoco era "libero". Un focolare in mezzo alla stanza, magari su una pietra. Il fumo? Usciva (si sperava) da un buco nel tetto o filtrava tra le tegole o la paglia.
Faceva fumo? Sì. Puzzava? Sì. Faceva venire la congiuntivite? Sicuramente.
Ma scaldava per irraggiamento a 360 gradi. Il camino a parete porta via gran parte del calore su per la canna fumaria. È più pulito, ma meno efficiente.
Nel Nord Europa, dove l'inverno non scherza, inventano la stufa. La stufa in maiolica, il Kachelofen. Quella è una macchina termica perfetta. Bruci poca legna ad altissima temperatura, la ceramica accumula il calore e lo rilascia piano piano per tutta la notte.
In Italia si usa meno, noi siamo rimasti fedeli al fuoco aperto e al braciere, forse perché il nostro inverno è più clemente, o forse per cultura.
E poi c'era l'altra fonte di calore: gli altri esseri umani.
Si dormiva insieme. Non per promiscuità viziosa, ma per termodinamica.
In un letto grande dormivano il padre, la madre, magari i figli più piccoli. I corpi scaldano. "Andare a letto" significava entrare in un nido collettivo di calore.
Nelle case contadine, la simbiosi con gli animali era totale. La "casa terranea" o la stalla-abitazione non erano segno di degrado, erano una scelta energetica intelligente.
Le finestre medievali sono un problema. Il vetro costava una fortuna.
Le cattedrali avevano le vetrate, certo. I palazzi dei re anche. Ma la casa del mercante? O dell'artigiano?
Niente vetri. O pochissimi, magari dei tondi di vetro ("occhi di bue") incastonati nel piombo, fatti con i fondi di bottiglia.
La soluzione standard era l'"impannata". Un telaio di legno su cui inchiodavi una tela di lino o cotone, o della carta pecora. La ungevano con olio di lino o trementina per renderla traslucida e impermeabile all'acqua.
Risultato? La luce entrava, sì. Ma era una luce giallastra, diffusa, lattiginosa. Non potevi guardare fuori.
La casa medievale, di giorno, se le finestre erano chiuse per il freddo, era immersa in una penombra perenne. Non c'era la vista sul panorama. La finestra serviva per la luce, non per il paesaggio.
Di notte, il buio era totale.
L'illuminazione artificiale era un lusso sfrenato. La cera d'api costava tantissimo, si usava in chiesa.
La gente comune usava il sego. Grasso animale. Candele di sego. Immaginate l'odore di grasso di montone bruciato che permeava la stanza. Facevano fumo e poca luce.
Oppure le lucerne a olio, come i romani.
Questo dettava i ritmi. Ci si alzava all'alba, si andava a letto col tramonto. Lavorare di notte era difficile. Molti statuti delle corporazioni vietavano agli artigiani di lavorare di notte. Ufficialmente per garantire la qualità ("al buio si lavora male"), ma anche per evitare incendi e per non fare concorrenza sleale a chi rispettava i ritmi naturali.
Eccoci al punto dolente. L'igiene.
Il mito vuole che nel Medioevo si buttasse tutto dalla finestra gridando "Guarda giù!" e che le strade fossero fogne a cielo aperto.
È vero? Sì e no.
Sì, succedeva. No, non era legale.
Gli statuti comunali sono pieni, zeppi, ossessionati da divieti su questo tema.
A Ivrea, a Bologna, a Perugia, si legge: "Nessuno osi gettare brutture, acque fetide o sterco dalle finestre". E ci sono le multe. Salate.
Se ci sono i divieti, vuol dire che la gente lo faceva. Ma vuol dire anche che la comunità non lo accettava passivamente. Non era la norma "ok", era la norma trasgredita.
C'erano funzionari appositi. A Bologna si chiamavano i "fancaioli" (quelli del fango), a Ivrea i "sorestani". Giravano per controllare che le latrine non perdessero in strada, che i macellai non buttassero le interiora nel fosso.
Perché la puzza non era solo fastidiosa. Nel Medioevo si credeva (e non avevano tutti i torti) che la puzza portasse le malattie. La "mala aria" (malaria). Quindi pulire era una questione di sanità pubblica.
Ma dove andavano in bagno?
Le case ricche avevano la latrina privata. Spesso era una nicchia nel muro, che scaricava in una canna fumaria dedicata (canale di scolo) che finiva in un pozzo nero sotterraneo o, nel caso dei castelli, direttamente nel fossato (la famosa garderobe a sbalzo).
Le case povere usavano il vaso da notte, che poi andava svuotato. Dove? Nei "chiassetti".
Boccaccio, nella novella di Andreuccio da Perugia, ci descrive benissimo la situazione. Andreuccio va in una casa, va nella latrina, che è fatta di tavole di legno sospese sopra un vicolo stretto tra due case (il chiassetto). Una tavola si rompe e lui cade giù, nella "bruttura".
Questo ci dice che esistevano spazi interstiziali tra le case dedicati alla raccolta dei rifiuti. Non era il salotto, e non era la via principale. Era un sistema fognario primitivo, ma esisteva.
Inoltre, dobbiamo ricordare che il Medioevo era un'economia circolare per necessità.
Lo sterco? Era concime prezioso per gli orti urbani (e le città erano piene di orti).
L'urina? Si usava per conciare le pelli o per fissare i colori nelle tintorie.
Gli stracci? Si vendevano per fare la carta (che cominciava a diffondersi).
Il vetro rotto? Si raccoglieva e si rifondeva. Gli statuti parlano di rottame vitri.
Quindi, quella che noi chiamiamo spazzatura, per loro era spesso materia prima. Certo, non era un mondo asettico. Gli odori dovevano essere forti. Ma l'idea di una civiltà che sguazza felicemente nella sporcizia è una nostra invenzione per sentirci superiori.
Chi viveva in queste case?
Noi immaginiamo la famiglia patriarcale, il nonno, i figli, i nipoti, tutti sotto lo stesso tetto.
In città, spesso la casa ospitava un nucleo complesso: la coppia, i figli, ma anche i garzoni di bottega, i servi, gli apprendisti. Tutti vivevano lì. La casa era un'azienda. Non c'era distinzione netta tra colleghi di lavoro e famiglia.
In campagna, invece, spesso la famiglia era nucleare. Quando un figlio si sposava, se c'era terra, si costruiva la sua capanna vicino. La "grande famiglia" patriarcale, quella con trenta persone a tavola, è spesso un fenomeno più tardo, dell'età moderna, legato alla mezzadria.
Ma il dato costante è l'affollamento.
La privacy, l'idea di avere una stanza tutta per sé dove "stare soli", è un lusso inconcepibile per il 99% della popolazione medievale.
Si mangiava insieme, si lavorava insieme, si dormiva insieme.
Anche la sessualità non poteva essere quel fatto privato e segreto che immaginiamo noi. Avveniva nel letto grande, magari con i bambini che dormivano accanto, o nella stessa stanza.
Questo creava una psicologia diversa. Una vergogna diversa. Il corpo non era un tabù misterioso, era una presenza quotidiana, con i suoi odori, i suoi rumori, le sue funzioni.
I bambini crescevano immersi nel mondo degli adulti. Non c'era la "TV dei ragazzi" o la stanza dei giochi. Sentivano i discorsi dei grandi, vedevano la vita e la morte (si moriva in casa, non all'ospedale) fin da piccoli. Erano adulti in miniatura, educati dalla vita comunitaria.
Se usciamo ora da quella casa medievale e torniamo nel nostro appartamento climatizzato, cosa ci portiamo dietro?
Forse un po' di gratitudine per lo sciacquone e per l'antibiotico.
Ma anche un rispetto nuovo per quei nostri antenati.
Le loro case non erano tentativi falliti di fare le nostre. Erano risposte perfette alle loro domande.
Avevano poco legno? Usavano la terra.
Avevano poco spazio? Inventavano il portico e la torre.
Avevano freddo? Inventavano la stufa e la comunità di letto.
La casa medievale ci racconta una storia di resilienza. Ci dice che l'essere umano è capace di abitare ovunque, di trasformare una capanna di fango in un focolare, e un vicolo buio in una città d'arte.
E ci ricorda che la casa, alla fine, non è fatta di muri. È fatta di persone che cercano di stare al caldo, di mangiare e di non essere sole mentre fuori soffia il vento della storia.
Studente di Storia
Ciao, sono al secondo anno di storia all'università e scrivo articoli man mano che studio per gli esami. Mi piace programmare siti web dunque eccomi qua.
Articolo pubblicato il 27/11/2025
Ultimo aggiornamento il 05/12/2025