Giovanni Pico della Mirandola: Biografia, Pensiero e Opere

Chi era davvero Giovanni Pico della Mirandola? Filosofo prodigio, autore del manifesto del Rinascimento e vittima di un mistero storico risolto solo nel 2018. In questo articolo ripercorriamo la vita folgorante della "Fenice degli ingegni": dall'audacia delle 900 Tesi e dell'Oratio de hominis dignitate, fino alla tragica morte per avvelenamento all'ombra dei Medici e del Savonarola. Un viaggio tra filosofia, cabala e intrighi politici del Quattrocento.

Pubblicato: 12/12/2025

Ultima modifica: 14/12/2025

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Riassunto sulla vita di Giovanni Pico della Mirandola

Giovanni Pico della Mirandola non è stato solo un nobile ricchissimo e bellissimo con una memoria spaventosa (si diceva recitasse la Divina Commedia al contrario), ma un uomo che ha osato l'impossibile: tentare di unire in un solo abbraccio Platone e Aristotele, la Cabala ebraica e il Vangelo, la magia e la teologia. È lui che ha scritto il vero "Manifesto del Rinascimento", l'Oratio de hominis dignitate, dicendoci in faccia che non abbiamo un destino segnato: siamo liberi scultori di noi stessi, possiamo strisciare come bestie o volare come angeli, sta a noi decidere. Per sostenere le sue idee ha sfidato la Chiesa con 900 tesi, ha rischiato il rogo, è fuggito in Francia braccato come un criminale ed è stato salvato in extremis da Lorenzo il Magnifico. E alla fine? È morto a soli trentuno anni, in un giallo degno di Agatha Christie: non di sifilide come si è creduto per secoli, ma avvelenato con l'arsenico, probabilmente per mettere a tacere una mente troppo libera.

Indice

Introduzione: Chi era Giovanni Pico della Mirandola

Nel tessuto complesso e vibrante del Quattrocento italiano, poche figure si stagliano con la luminosità abbacinante ed enigmatica di Giovanni Pico della Mirandola.

Definito dai suoi contemporanei Phoenix degli ingegni per la rarità del suo intelletto e la singolarità della sua parabola esistenziale, Pico non fu semplicemente un filosofo o un umanista nel senso canonico del termine.

Egli rappresentò, nella sua breve vita consumatasi in soli trentuno anni, l'incarnazione vivente delle tensioni, delle contraddizioni e delle aspirazioni supreme di un'epoca che stava traghettando l'Europa dal Medioevo alla Modernità.

Nato nel 1463 in un castello della Bassa modenese e morto a Firenze nel 1494, proprio mentre le armate francesi di Carlo VIII scendevano la penisola segnando l'inizio di decenni di guerre devastanti, Pico visse esattamente sulla faglia sismica di un cambiamento epocale.

La sua esistenza si dipanò tra lo splendore delle corti padane e l'austera severità delle celle conventuali, tra l'ebbrezza della riscoperta dei testi antichi e il terrore apocalittico predicato dal Savonarola. Fu un uomo che tentò l'impossibile: la Concordia Universalis, una sintesi filosofica e teologica che armonizzasse Platone e Aristotele, la sapienza ebraica della Qabbalah e la teologia cristiana, l'ermetismo egizio e la scolastica parigina.

La storiografia, per secoli, ha oscillato tra l'agiografia del "giovane prodigio" dalla memoria infallibile e la critica del pensatore eclettico e talvolta confuso. Tuttavia, le ricerche più recenti, culminate nelle indagini scientifiche del 2018 sui suoi resti mortali, hanno restituito spessore drammatico alla sua fine, trasformando la sua biografia in un "cold case" storico di risonanza mondiale.

Questo studio intende ripercorrere la vita, il pensiero e la morte di Giovanni Pico della Mirandola con un livello di dettaglio esaustivo, analizzando non solo le sue opere ma anche il contesto politico, sociale e psicologico in cui esse fiorirono, per comprendere come la "Fenice" sia potuta risorgere dalle ceneri della storia come una delle figure più inquiete e moderne del Rinascimento.

Infanzia e Formazione (1463-1480)

La Famiglia Pico e il Castello della Mirandola

La vicenda di Giovanni ha inizio il 24 febbraio 1463, nel castello della Mirandola, una fortezza situata in una posizione strategica e precaria, incuneata tra le sfere d'influenza dei potenti vicini: gli Estensi di Ferrara, i Gonzaga di Mantova e lo Stato Pontificio.

Il Castello dei Pico a Mirandola, luogo di nascita del filosofo Giovanni Pico.
Il Castello dei Pico a Mirandola, luogo di nascita del filosofo Giovanni Pico.

I Pico non erano semplici nobili di provincia; detenevano la signoria di Mirandola e la contea di Concordia come feudi imperiali, concessi dall'imperatore Sigismondo nel 1414. Questa "immediata" dipendenza dall'Impero conferiva loro una sovranità di fatto e un orgoglio dinastico che spesso eccedeva le reali dimensioni del loro piccolo stato.

Giovanni era l'ultimo nato di una numerosa prole. Suo padre, Gianfrancesco I Pico (1415-1467), era l'archetipo del condottiero rinascimentale, impegnato in una vita di alleanze mutevoli e difese militari. Sua madre, Giulia Boiardo, proveniva da una delle famiglie più colte della nobiltà emiliana; figlia di Feltrino Boiardo, conte di Scandiano, era zia del celebre poeta Matteo Maria Boiardo, autore dell'Orlando Innamorato.

È proprio attraverso la linea materna che il giovane Giovanni ereditò quella sensibilità per le lettere e quell'inclinazione poetica che avrebbero caratterizzato la sua giovinezza.

La morte del padre, avvenuta quando Giovanni aveva appena quattro anni, lasciò la gestione del feudo e della famiglia nelle mani della madre Giulia. Donna di tempra eccezionale, Giulia dovette navigare le turbolente acque delle successioni dinastiche, segnate dalle rivalità tra i figli maggiori, Galeotto e Anton Maria, che non esitarono a ricorrere alle armi per il controllo della signoria.

In questo clima di instabilità politica ma di fervore culturale, il piccolo Giovanni fu indirizzato precocemente verso la carriera ecclesiastica, destino comune per i cadetti delle grandi famiglie, inteso come via per garantire prestigio e protezione al casato.

Gli Studi a Bologna: Dal Diritto alla Filosofia (1477-1478)

Nel 1477, all'età di quattordici anni, Giovanni Pico lasciò il nido materno per immatricolarsi all'Università di Bologna, l'Alma Mater Studiorum, per studiare diritto canonico.

Bologna, in quegli anni, non era solo il centro giuridico della cristianità, ma un crogiolo di vita studentesca vibrante e talvolta violenta. La città, governata dalla signoria dei Bentivoglio, ospitava studenti da tutta Europa, organizzati nelle nationes, corporazioni che garantivano protezione e privilegi, ma che erano anche centri di goliardia, risse e dibattiti intellettuali.

Pico si trovò immerso in un ambiente dove lo studio rigoroso dei decretali pontifici conviveva con la libertà dei costumi. Tuttavia, la sua permanenza a Bologna fu segnata da una crescente insofferenza verso il diritto. La casistica giuridica, con la sua attenzione al particolare e alla procedura, appariva arida a una mente assetata di universali e di metafisica. Nonostante ciò, la disciplina logica acquisita nello studio del diritto canonico avrebbe lasciato una traccia indelebile nel suo modo di argomentare.

Fu a Bologna che Giovanni subì un trauma decisivo: la morte della madre Giulia, avvenuta il 13 agosto 1478.

La scomparsa della figura materna, che lo aveva protetto e indirizzato, rappresentò uno spartiacque. Libero dalla tutela e in possesso di una cospicua eredità, Pico prese la prima grande decisione autonoma della sua vita: abbandonare il diritto canonico per dedicarsi alla filosofia e alle lettere umane. Questo atto di ribellione intellettuale segnò l'inizio del suo vero peregrinatio studiorum.

L'Umanesimo a Ferrara e i Primi Contatti Letterari (1479)

Lasciata Bologna, Pico si trasferì nel 1479 a Ferrara, ospite della corte del duca Ercole I d'Este, con cui era imparentato (la sorella di Pico, Bianca, aveva sposato un membro della famiglia estense, e i legami erano stretti).

Ferrara rappresentava l'antitesi di Bologna: se la seconda era la città del diritto e della scolastica, la prima era una delle capitali dell'Umanesimo cortese.

Sotto la guida di maestri come Battista Guarino, figlio del grande pedagogo Guarino Veronese, Pico affinò la sua conoscenza del latino e si immerse nella letteratura classica.

Qui respirò l'aria rarefatta della cultura cortigiana, fatta di poesia, musica e neoplatonismo estetizzante. In questo periodo strinse amicizia con letterati come Tito Vespasiano Strozzi e iniziò a frequentare quei circoli intellettuali che avrebbero costituito la sua rete di relazioni per il resto della vita.

Le cronache del tempo, e in particolare la biografia scritta dal nipote Gianfrancesco Pico, accennano a questo periodo ferrarese (e al successivo padovano) come a un momento di "vita libera", in cui il giovane conte, ricco e bellissimo, non disdegnava i piaceri mondani e gli amori profani.

Eppure, sotto la superficie del giovane aristocratico dedito alle muse, covava già l'inquietudine metafisica che lo avrebbe portato ben oltre i confini dell'umanesimo retorico.

Il Pensiero Filosofico: Cabala, Ebraico e Aristotelismo (1480-1486)

Padova e l'Incontro con Elia del Medigo (1480-1482)

Se Ferrara fu la scuola dell'eleganza, Padova fu la fucina del rigore. Tra il 1480 e il 1482, Pico risiedette a Padova, sede di un'università che, sotto la protezione della Repubblica di Venezia, godeva di una libertà intellettuale unica in Italia.

Padova era la roccaforte dell'aristotelismo, ma di un aristotelismo particolare: quello letto attraverso i commentatori arabi, in particolare Averroè.

I maestri di Pico, come Nicoletto Vernia e Agostino Nifo, insegnavano una filosofia naturalistica che spesso entrava in conflitto con i dogmi cristiani, discutendo temi come l'eternità del mondo e l'unità dell'intelletto (monopsichismo), dottrina che negava l'immortalità dell'anima individuale.

Pico assorbì questo rigorismo logico, imparando a maneggiare il sillogismo con una maestria che avrebbe poi dispiegato nelle sue dispute teologiche.

Ma l'evento cruciale del soggiorno padovano fu l'incontro con Elia del Medigo (Elijah Delmedigo), un filosofo ebreo cretese, averroista convinto, che divenne il primo vero maestro filosofico di Pico.

Attraverso Elia, Pico non solo approfondì l'interpretazione di Aristotele, ma iniziò a studiare l'ebraico e l'aramaico. Questo fu il punto di svolta: l'accesso diretto alle fonti semitiche aprì a Pico un universo sconosciuto alla maggior parte degli umanisti del suo tempo, ponendo le basi per la sua futura immersione nella Qabbalah.

Pavia e lo Studio della Lingua Greca (1482-1483)

La sete di conoscenza, ormai inestinguibile, spinse Pico verso Pavia nel 1482.

Qui si dedicò allo studio del greco, lingua indispensabile per accedere alle fonti originali del platonismo e del Nuovo Testamento, superando le mediazioni medievali. A Pavia, Pico ebbe modo di confrontarsi con la tradizione logica e scientifica lombarda, arricchendo ulteriormente il suo arsenale metodologico.

In questi anni, la sua fisionomia intellettuale si definì come quella di un pensatore poliglotta e sincretico, convinto che la verità non fosse monopolio di una singola scuola o lingua, ma un tesoro frammentato da ricomporre.

L'Arrivo a Firenze e l'Amicizia con Marsilio Ficino (1484)

Nel 1484, Pico giunse a Firenze, attratto dalla fama di Lorenzo il Magnifico e dal circolo di intellettuali che gravitava attorno a lui.

Firenze era allora il cuore pulsante del Rinascimento, il luogo dove Marsilio Ficino stava tentando l'operazione culturale più ambiziosa del secolo: la rinascita della filosofia platonica come pia philosophia, capace di concordare perfettamente con il Cristianesimo.

L'arrivo di Pico fu salutato come un evento provvidenziale. Ficino raccontò di aver terminato la traduzione dei dialoghi di Platone proprio nel giorno e nell'ora in cui Pico faceva il suo ingresso in città, vedendo in lui l'incarnazione astrale di un nuovo spirito filosofico.

Tra il vecchio maestro Ficino e il giovane principe nacque un rapporto complesso, fatto di ammirazione reciproca ma anche di differenze sostanziali: mentre Ficino era un platonico puro, talvolta diffidente verso la scolastica, Pico cercava una sintesi più ampia che includesse anche Aristotele e la tradizione medievale.

A Firenze, Pico strinse un'amicizia fraterna con Angelo Poliziano, il più grande filologo e poeta del tempo.

Con Poliziano, Pico condivideva la passione per i codici antichi e la critica testuale, ma i due divergevano sull'importanza della forma: per Poliziano lo stile era sostanza, per Pico la verità filosofica poteva risplendere anche nel latino "rozzo" dei logici parigini.

Questa posizione fu esplicitata da Pico in una celebre lettera a Ermolao Barbaro del 1485, in cui difese i filosofi "barbari" (scolastici) contro le critiche degli umanisti puristi, sostenendo che "noi vivremo in eterno non nelle scuole dei grammatici, ma nei circoli dei filosofi".

Parigi e la Sorbona: La Genesi del Progetto Universale (1485-1486)

Per completare la sua formazione, Pico sentì il bisogno di confrontarsi con il centro nevralgico della teologia tradizionale: Parigi. Tra il luglio 1485 e il marzo 1486, soggiornò nella capitale francese, frequentando la Sorbona.

L'università di Parigi era un mondo a sé stante, dominato dalla dialettica scolastica e dalle dispute teologiche. Qui Pico studiò i grandi maestri del passato (Tommaso d'Aquino, Duns Scoto, Occam) e i dottori moderni.

L'esperienza parigina fu fondamentale: gli fornì la struttura mentale e il metodo argomentativo per concepire il suo Magnum Opus. Fu a Parigi, nel silenzio delle biblioteche e nel fragore delle dispute, che Pico concepì l'idea di un concilio filosofico universale da tenersi a Roma, dove avrebbe difeso 900 tesi estratte da tutto lo scibile umano, per dimostrare la concordia di tutte le sapienze.

Le 900 Tesi e l'Oratio de Hominis Dignitate (1486-1488)

Lo Scandalo di Arezzo: Il Rapimento di Margherita (Maggio 1486)

Sulla via del ritorno da Parigi, mentre si apprestava a recarsi a Roma per la sua grande disputa, Pico fu protagonista di un episodio che scosse le corti italiane e che getta una luce vivida sulla sua personalità, tutt'altro che eterea. Il 10 maggio 1486, ad Arezzo, Pico tentò di rapire Margherita, moglie di Giuliano Mariotto de' Medici, un lontano parente del Magnifico che risiedeva in città come gabelliere.

La vicenda ha i contorni di un romanzo d'avventura. Secondo le ricostruzioni storiche, Pico e Margherita si erano innamorati (o forse avevano concordato la fuga per sottrarre lei a un matrimonio infelice). Margherita uscì dalle mura con la scusa di una passeggiata e salì sul cavallo di Pico, che l'attendeva con una scorta armata di circa venti uomini.

Ne nacque un inseguimento furioso da parte delle autorità cittadine e del marito. Lo scontro avvenne a Marciano della Chiana: ci furono morti e feriti tra i servitori di Pico, e il conte stesso, ferito, fu costretto ad arrendersi.

Incarcerato, Pico fu salvato solo dal tempestivo intervento diplomatico di Lorenzo il Magnifico. Lorenzo minimizzò l'accaduto come una "ragazzata" dovuta alla passione amorosa e ottenne la liberazione del filosofo, restituendo Margherita al marito.

L'episodio, lungi dall'essere solo un pettegolezzo, rivela il lato impulsivo e passionale di Pico, nonché la sua rete di protezioni politiche. Uscito di prigione, si ritirò per un breve periodo a Fratta (vicino Perugia) per convalescenza e per dedicarsi allo studio intensivo dell'ebraico e del caldeo con il misterioso Flavio Mitridate.

Analisi dell'Oratio de Hominis Dignitate e delle 900 Tesi

Ristabilitosi e giunto a Roma verso la fine del 1486, Pico pubblicò le sue Conclusiones philosophicae, cabalisticae et theologicae (note come le 900 Tesi) e si preparò alla disputa, fissata per l'inizio del 1487.

Come introduzione all'evento, compose l'Oratio de hominis dignitate, un testo che non fu mai pronunciato ma che è divenuto il manifesto spirituale del Rinascimento.

Nell'Oratio, Pico rilegge il libro della Genesi in chiave filosofica. Dio, dopo aver creato il mondo e aver assegnato a ogni creatura un posto fisso nella gerarchia dell'essere (gli angeli in alto, gli animali in basso), crea l'uomo per ammirare la grandezza dell'opera. Non avendo più "archetipi" specifici, Dio conferisce all'uomo una natura indeterminata.

"Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché di te stesso quasi libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti prescelto."

Questa libertà radicale è la fonte della dignità umana. L'uomo è un "camaleonte": può degenerare nelle forme inferiori, diventando bruto, o rigenerarsi nelle forme superiori, diventando angelo o unendosi a Dio. La grandezza dell'uomo non sta in ciò che è, ma in ciò che può diventare.

Le 900 Tesi, invece, erano la dimostrazione pratica di questa ascensione intellettuale. Pico intendeva mostrare che tutte le tradizioni filosofiche (platonici, aristotelici, arabi, ebrei, ermetici) contenevano frammenti dell'unica Verità rivelata. Particolarmente audaci erano le tesi sulla Qabbalah e sulla Magia.

Pico distingue tra una magia "demoniaca" (da condannare) e una magia "naturale", che è il compimento della filosofia naturale e permette all'uomo di operare nel mondo unendo le virtù del cielo e della terra ("maritare il mondo").

Ancora più rivoluzionaria era la tesi secondo cui "nessuna scienza ci dà maggior certezza della divinità di Cristo quanto la magia e la cabala".

La Condanna per Eresia di Innocenzo VIII e la Fuga

L'audacia di Pico si scontrò con la rigidità della Curia romana. Papa Innocenzo VIII (Giovanni Battista Cybo), pontefice debole politicamente ma vigile sull'ortodossia (e noto per aver scatenato la caccia alle streghe con la bolla Summis desiderantes affectibus), sospese la disputa e istituì una commissione di teologi per esaminare le tesi.

La commissione giudicò alcune tesi "eretiche" (specialmente quelle che sembravano negare l'efficacia infinita delle pene infernali o che legavano la teologia alla magia), altre "sventate" o "scandalose".

Pico, invece di sottomettersi docilmente, pubblicò nel 1487 un'Apologia dedicata a Lorenzo de' Medici, in cui difendeva le sue posizioni con acume teologico ma anche con una certa arroganza intellettuale che irritò ulteriormente il Papa.

La reazione di Innocenzo VIII fu durissima: con la bolla Etsi ex iniuncto (agosto 1487), condannò tutte le 900 tesi in blocco. Pico, minacciato di arresto per eresia, fuggì verso la Francia, sperando nella protezione della Sorbona o del re Carlo VIII. Tuttavia, fu catturato nel febbraio 1488 vicino a Lione (a Bugey, nel castello di Vincennes) dalle truppe reali su richiesta del nunzio papale.

La prigionia nel torrione di Vincennes fu un momento drammatico. Ancora una volta, fu la diplomazia medicea a salvarlo. Lorenzo il Magnifico mosse mari e monti, scrivendo lettere di fuoco e mobilitando ambasciatori, fino a ottenere che Carlo VIII liberasse Pico e lo consegnasse alla custodia (di fatto una protezione) di Firenze.

Pico tornò in Italia nel 1488, accolto come un eroe della libertà di pensiero, ma formalmente ancora sotto censura ecclesiastica, che sarebbe stata revocata solo nel 1493 dal nuovo papa Alessandro VI.

Le Opere della Maturità e il Rapporto con Savonarola (1489-1494)

Heptaplus: L'Interpretazione della Genesi

Tornato a Firenze e stabilitosi nella villa di Querceto (Fiesole), Pico inaugurò una stagione di intensa produzione filosofica. Nel 1489 pubblicò l'Heptaplus (Heptaplus: de septiformi sex dierum Geneseos enarratione), dedicato a Lorenzo il Magnifico.

L'opera è un commento ai primi versi della Genesi (la Creazione), strutturato in sette libri, ciascuno diviso in sette capitoli. Pico applica un metodo esegetico che riflette la struttura dell'universo. Egli vede nel racconto mosaico non solo una storia letterale, ma una descrizione allegorica dei tre mondi che costituiscono la realtà secondo la cosmologia neoplatonica:

  1. Il Mondo Elementare (sublunare, corruttibile).
  2. Il Mondo Celeste (gli astri e le sfere, incorruttibili).
  3. Il Mondo Sovraceleste (o Angelico, puramente intellettuale).

A questi si aggiunge un quarto mondo: l'Uomo, che è il microcosmo che li riassume tutti e funge da copula dell'universo. Pico cerca di dimostrare che Mosè, nella Genesi, ha nascosto sotto il velo della narrazione le stesse verità fisiche e metafisiche scoperte da Aristotele e Platone.

È un tentativo di concordia totale tra Sacra Scrittura e filosofia naturale.

Tabella di Analisi delle Opere Principali di Giovanni Pico

Opera Anno Argomento Principale Significato Filosofico
Oratio de hominis dignitate 1486 La natura dell'uomo e la libertà. Manifesto dell'Umanesimo: l'uomo come "camaleonte" libero di autodeterminarsi.
900 Conclusiones 1486 Teologia, Filosofia, Cabala, Magia. Tentativo di sintesi universale di tutto lo scibile umano e di tutte le tradizioni sapienziali.
Heptaplus 1489 Esegesi della Genesi. Concordia tra il racconto biblico della creazione e la cosmologia platonica/aristotelica.
De Ente et Uno 1491 Metafisica (Platone vs Aristotele). Dimostrazione che l'Uno e l'Essere coincidono in Dio, riconciliando le due maggiori scuole greche.
Disputationes adv. astrologiam 1496 (post.) Critica all'astrologia giudiziaria. Difesa della libertà umana e della Provvidenza contro il determinismo astrale.

De Ente et Uno: La Sintesi tra Platone e Aristotele

Nel 1491, Pico diede alle stampe il De Ente et Uno, dedicato all'amico Angelo Poliziano.

Questo breve trattato è forse l'opera più densa e tecnica di Pico. Essa nasce da una disputa amichevole nel circolo mediceo sulla presunta superiorità di Platone o Aristotele.

Il problema era cruciale: i neoplatonici (come Plotino e lo stesso Ficino) sostenevano che l'Uno è superiore all'Essere (Dio è "al di là dell'essere"). Aristotele, invece, sembrava identificare l'Uno e l'Essere come concetti convertibili.

Pico, con un'analisi filologica e metafisica serrata, tenta di dimostrare che il disaccordo è solo verbale. Platone, quando pone l'Uno sopra l'Essere, intende l'essere determinato e limitato delle creature; Aristotele, quando li equipara, intende l'Essere assoluto e primo. In Dio, dunque, Essere e Uno coincidono. Con questa opera, Pico mirava a pacificare le due grandi scuole filosofiche dell'antichità, un passo necessario per la concordia universale.

Disputationes: La Critica all'Astrologia

Negli ultimi anni, Pico lavorò a un'opera monumentale, rimasta incompiuta e pubblicata postuma dal nipote Gianfrancesco: le Disputationes adversus astrologiam divinatricem (Dispute contro l'astrologia divinatrice).

In questo testo, Pico sferra l'attacco più potente mai condotto nel Rinascimento contro la superstizione astrologica. Distinguendo nettamente tra astronomia (scienza matematica del moto) e astrologia giudiziaria (pretendere di predire il futuro), Pico demolisce le basi teoriche di quest'ultima.

Egli nega che gli astri, corpi fisici, possano influenzare le libere scelte dell'anima umana o gli eventi contingenti della storia. Accettare l'astrologia significherebbe negare la libertà dell'uomo e la Provvidenza divina, riducendo la storia a un meccanismo fatale. L'opera ebbe un impatto enorme, influenzando pensatori come Savonarola (che ne trasse argomenti per le sue prediche) e, più tardi, Keplero e Galileo.

La Svolta Mistica e l'Influenza di Girolamo Savonarola

La morte di Lorenzo il Magnifico, nell'aprile 1492, segnò la fine di un'era per Firenze e per Pico. Privato del suo protettore e amico, Pico si avvicinò sempre più a Girolamo Savonarola, che nel 1491 era diventato priore di San Marco.

Pico era stato determinante nel far richiamare Savonarola a Firenze anni prima, affascinato dalla sua forza morale. Ora, di fronte alla crisi politica e spirituale dell'Italia, il messaggio apocalittico e riformatore del frate trovò in Pico un terreno fertile.

Girolamo Savonarola, frate domenicano e guida spirituale di Pico della Mirandola negli ultimi anni.
Girolamo Savonarola, frate domenicano e guida spirituale di Pico della Mirandola negli ultimi anni.

Il filosofo iniziò a spogliarsi dei suoi beni, vendendo terre e proprietà (inclusa la quota del castello di Mirandola al nipote Gianfrancesco) e donando il ricavato ai poveri. Viveva in modo sempre più austero, dedicandosi alla preghiera e allo studio dei Salmi.

Le testimonianze ci dicono che Pico meditava di farsi frate domenicano e di andare a predicare il Vangelo, scalzo, per le città d'Europa.

Tuttavia, esitava a compiere il passo definitivo, forse trattenuto dal suo amore per gli studi o da una residua indipendenza aristocratica. Savonarola, dal canto suo, lo amava ma lo rimproverava per questa tiepidezza, profetizzandogli che non avrebbe vissuto a lungo se non si fosse deciso.

La Morte di Pico della Mirandola: Un Caso Risolto (1494-2018)

1494: La Malattia Improvvisa durante la Discesa di Carlo VIII

L'autunno del 1494 fu un momento catastrofico per l'Italia. Il re di Francia Carlo VIII stava attraversando la penisola con un esercito potente, diretto a Napoli.

A Firenze, il passaggio dei francesi provocò la caduta della dinastia medicea: Piero de' Medici, figlio di Lorenzo, incapace di gestire la crisi, fu cacciato dalla città il 9 novembre, e Firenze proclamò la Repubblica, ispirata dalle prediche di Savonarola.

In quei giorni convulsi, Giovanni Pico della Mirandola si ammalò improvvisamente. Era ancora giovane, 31 anni, e nel pieno delle forze. La malattia si manifestò con dolori addominali lancinanti, febbre e vomito.

Il re Carlo VIII, che ammirava Pico e lo aveva protetto durante l'esilio francese, inviò i propri medici personali al suo capezzale, ma fu tutto inutile.

Lapide della tomba di Giovanni Pico della Mirandola e Angelo Poliziano nella chiesa di San Marco a Firenze.
Lapide della tomba di Giovanni Pico della Mirandola e Angelo Poliziano nella chiesa di San Marco a Firenze.

Pico morì il 17 novembre 1494, lo stesso giorno in cui l'esercito francese entrava trionfalmente a Firenze. Sul letto di morte, chiese e ottenne di essere vestito con l'abito domenicano, mantenendo in extremis la promessa fatta a Savonarola. Il frate, nel suo sermone funebre, dichiarò di aver visto in visione l'anima di Pico in Purgatorio, punita per aver tardato la sua conversione, ma salva.

Subito iniziarono a circolare voci di avvelenamento. Si sospettava del suo segretario, Cristoforo da Casalmaggiore, ma in un'epoca di epidemie (la sifilide stava iniziando a diffondersi, e Pico ne era stato sospettato a causa della sua vita giovanile) e di morti improvvise, il caso fu archiviato dalla storia come "morte per febbri" o sifilide.

Le Analisi del 2018: Conferma dell'Avvelenamento da Arsenico

Il mistero è rimasto tale per oltre cinque secoli, fino a quando un team di ricerca multidisciplinare delle Università di Pisa, Bologna, del Salento e di Valencia, in collaborazione con il RIS (Reparto Investigazioni Scientifiche) dei Carabinieri di Parma, ha deciso di riaprire il caso.

Nel 2007, le tombe di Pico della Mirandola e del suo amico Angelo Poliziano (morto due mesi prima di Pico, anch'egli in circostanze sospette) furono esumate nella chiesa di San Marco a Firenze. I resti, mescolati e degradati dal tempo e dall'alluvione del 1966, furono sottoposti a moderne tecniche di analisi: datazione al radiocarbonio (C14), analisi del DNA per l'identificazione e spettrometria di massa per la tossicologia.

I risultati, pubblicati nel 2018, furono clamorosi. Le analisi sulle ossa, sulle unghie e sui capelli di Pico rivelarono concentrazioni di arsenico ben superiori alla soglia letale, e compatibili con un'intossicazione acuta avvenuta poco prima della morte. Non sifilide, non febbre: omicidio.

I Sospetti sui Medici: Movente Politico e Mandanti

Chi uccise Pico della Mirandola? E perché? Gli storici, alla luce delle prove scientifiche, hanno rivalutato le testimonianze dell'epoca. Il sospettato materiale rimane Cristoforo da Casalmaggiore, il segretario che era presente al momento della morte e che, secondo alcune fonti, confessò anni dopo di aver somministrato un "medicamento" fatale.

Ma il mandante politico più probabile appare oggi Piero de' Medici, lo "Sfortunato". Piero, esiliato da Firenze proprio nei giorni della morte di Pico, nutriva un profondo rancore verso il circolo di intellettuali che avevano servito suo padre Lorenzo ma che ora si stavano avvicinando a Savonarola, il nemico giurato dei Medici.

Pico, con la sua influenza, il suo prestigio e le sue ricchezze, rappresentava un pilastro potenziale per il nuovo regime repubblicano e savonaroliano. Eliminare Pico (e forse anche Poliziano, sebbene per lui le prove dell'arsenico siano meno conclusive ma i livelli comunque alti) significava indebolire il supporto culturale e politico alla Repubblica di Savonarola.

Così, la morte del filosofo della libertà umana si rivela essere non un accidente del destino, ma un freddo assassinio politico, un atto di vendetta consumato nel crepuscolo di un'età dell'oro.

Conclusioni: L'Eredità Incompiuta

La figura di Giovanni Pico della Mirandola rimane un monumento all'inesauribile sete di conoscenza dell'uomo rinascimentale. La sua vita fu un tentativo eroico di abbattere i muri che separavano le culture: Oriente e Occidente, Ebraismo e Cristianesimo, Magia e Scienza.

Il suo lascito più grande, l'Oratio de hominis dignitate, continua a risuonare oggi come un inno alla responsabilità individuale. In un mondo che spesso cercava rifugio nel fatalismo astrale o nel dogma rigido, Pico ebbe il coraggio di dire che l'uomo non ha natura fissa, ma è ciò che sceglie di essere.

La scoperta del suo assassinio aggiunge una nota tragica alla sua leggenda. La "Fenice" non bruciò nel fuoco rigeneratore del sole, ma fu spenta dal veleno dell'odio politico. Tuttavia, come ogni fenice, il pensiero di Pico è risorto, sfidando i secoli e continuando a interrogarci sul mistero della nostra libertà.

Cronologia Essenziale della vita di Giovanni Pico della Mirandola

Anno Evento Luogo
1463 Nascita di Giovanni Pico (24 febbraio). Mirandola
1467 Morte del padre Gianfrancesco I. Mirandola
1477 Inizio studi di Diritto Canonico. Bologna
1478 Morte della madre Giulia Boiardo. Abbandono del Diritto. Bologna
1479 Soggiorno e studi umanistici. Ferrara
1480-82 Studi di filosofia aristotelica e averroistica. Incontro con Elia del Medigo. Padova
1484 Arrivo a Firenze. Incontro con Ficino, Poliziano, Lorenzo il Magnifico. Firenze
1485-86 Soggiorno alla Sorbona. Ideazione delle 900 Tesi. Parigi
1486 Tentato rapimento di Margherita (Maggio). Stesura dell'Oratio. Arezzo/Fratta
1487 Condanna papale delle Tesi. Pubblicazione dell'Apologia. Roma
1488 Fuga, arresto a Vincennes e ritorno a Firenze grazie a Lorenzo. Francia/Firenze
1489 Pubblicazione dell'Heptaplus. Firenze
1491 Pubblicazione del De Ente et Uno. Firenze
1492 Morte di Lorenzo de' Medici. Avvicinamento a Savonarola. Firenze
1494 Morte per avvelenamento (17 novembre). Discesa di Carlo VIII. Firenze

Bibliografia

Questo articolo è stato redatto integrando le informazioni biografiche classiche di Giovanni Semprini e le voci enciclopediche con le risultanze degli studi forensi del 2018 condotti dalle università italiane e spagnole. I dettagli sulle opere filosofiche e sul contesto storico sono tratti dall'analisi critica dei testi pichiani.

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Matteo Galavotti

Studente di Storia

Ciao, sono al secondo anno di storia all'università e scrivo articoli man mano che studio per gli esami. Mi piace programmare siti web dunque eccomi qua.

Articolo pubblicato il 12/12/2025
Ultimo aggiornamento il 14/12/2025

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