Girolamo Savonarola a Firenze (1494-1498): la Repubblica dei Piagnoni e il rogo

Dopo la cacciata dei Medici nel 1494, Firenze si affida alla guida spirituale e politica del frate domenicano Girolamo Savonarola. Per quattro anni, la città divenne una "Nuova Gerusalemme" retta da un governo popolare, sfidando apertamente la corruzione della Chiesa di Papa Alessandro VI, fino al tragico epilogo sul rogo.

Pubblicato: 08/12/2025

Ultima modifica: 10/12/2025

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Il vuoto di potere: Firenze dopo i Medici

Per comprendere l'ascesa folgorante di un frate domenicano ferrarese al vertice di una delle città più colte e raffinate d'Europa, dobbiamo inquadrare l'evento nel più ampio e drammatico contesto delle Guerre d'Italia. Era il 1494 e la penisola era appena stata sconvolta dalla Discesa di Carlo VIII, che aveva mostrato la fragilità intrinseca degli stati italiani.

A Firenze, il passaggio del re francese ebbe l'effetto di un terremoto politico. Piero de' Medici, figlio del grande Lorenzo il Magnifico, si era dimostrato un successore inetto. Di fronte all'avanzata dell'esercito francese, aveva ceduto alle richieste di Carlo VIII con una condiscendenza tale da indignare l'orgoglioso popolo fiorentino. La reazione fu immediata e violenta: Piero fu cacciato e la signoria medicea, che sembrava intoccabile, crollò in un istante.

Ma cacciare un tiranno è spesso la parte facile; il difficile è riempire il vuoto che lascia. Firenze si trovò sull'orlo della guerra civile, divisa tra fazioni nobiliari in lotta e città suddite, come Pisa, che approfittavano del caos per ribellarsi e riconquistare la libertà (una resistenza ostinata che sarebbe durata fino al 1509). In questo clima di smarrimento e paura, una voce si alzò più forte delle altre: quella di fra' Gerolamo Savonarola.

Indice

Ritratto di Girolamo Savonarola profilo dipinto da Fra Bartolomeo.
Ritratto di profilo di Girolamo Savonarola dipinto da Fra Bartolomeo.

La "Nuova Gerusalemme": profezia e politica

Savonarola non era un politico di professione, ma un predicatore. Eppure, in quel momento storico, la politica e la fede erano indissolubili. Le sue prediche dal pulpito di San Marco o dal Duomo non erano semplici omelie: erano tuoni. Con toni apocalittici, il frate si scagliava contro la corruzione dilagante dei costumi e, soprattutto, contro la corruzione della Chiesa stessa.

Il suo messaggio fece breccia perché offriva un senso al caos. Secondo Savonarola, le sventure d'Italia non erano casuali, ma una punizione divina necessaria per purificare la cristianità. E Firenze? Firenze aveva un ruolo speciale. Doveva diventare la "Nuova Gerusalemme", il centro propulsore di una rigenerazione universale, sia morale che politica.

I suoi seguaci, chiamati spregiativamente "piagnoni" dagli avversari (per la loro tendenza a lamentare i peccati del mondo), non erano solo povera gente. Il messaggio di riforma radicale attirò anche parte della classe dirigente che cercava una guida morale dopo il crollo mediceo.

La riforma costituzionale: il Consiglio Grande

Non dobbiamo pensare a Savonarola solo come a un mistico esaltato. Sotto la sua ispirazione, Firenze attuò una riforma costituzionale di portata storica. I "piagnoni" imposero l'adozione di un sistema di governo popolare, ben diverso dalle ristrette oligarchie che governavano altrove (come a Venezia).

Il perno di questo nuovo sistema fu l'istituzione del Consiglio Grande. Era un organo immenso per l'epoca, composto da circa 3.000 cittadini. Mai prima d'ora una base così ampia aveva avuto accesso diretto al governo della città. L'idea era quella di spezzare il monopolio delle vecchie famiglie aristocratiche e garantire che la "Nuova Gerusalemme" fosse governata secondo principi di giustizia e non di interesse privato ("il particulare").

Per un breve periodo, sembrò che l'utopia potesse funzionare. Firenze divenne un laboratorio politico-religioso unico in Europa, dove le leggi dello stato cercavano di rispecchiare le leggi di Dio.

Ritratto di Papa Alessandro VI Rodrigo Borgia antagonista di Savonarola.
Ritratto di Papa Alessandro VI Rodrigo Borgia antagonista di Savonarola.

Lo scontro con Roma e la scomunica

Tuttavia, il progetto di Savonarola aveva un nemico formidabile. Non a Firenze, ma a Roma. Sul soglio di Pietro sedeva Alessandro VI (Rodrigo Borgia), un papa che incarnava tutto ciò che il frate detestava: mondanità, potere temporale spregiudicato, nepotismo (basti pensare alle carriere dei figli Cesare e Lucrezia).

Per Alessandro VI, quel frate non era solo un fastidioso moralizzatore, ma una minaccia politica. Savonarola attaccava la legittimità stessa del pontefice e, peggio ancora, ostacolava le alleanze internazionali del Papa (Firenze restava legata alla Francia, nemica della Lega Santa).

Lo scontro divenne inevitabile. Nel 1497, il Papa scagliò la scomunica contro Savonarola. Fu un colpo durissimo. In un'epoca in cui la vita civile era scandita dai sacramenti, essere scomunicati significava essere tagliati fuori dalla comunità.

I nemici interni del frate, le grandi famiglie aristocratiche (gli "Arrabbiati") e i sostenitori dei Medici ("Palleschi"), rialzarono la testa, sfruttando la paura dell'interdetto papale che avrebbe potuto colpire tutta Firenze, paralizzandone i commerci.

Esecuzione e rogo di Girolamo Savonarola in Piazza della Signoria a Firenze nel 1498.
Esecuzione e rogo di Girolamo Savonarola in Piazza della Signoria a Firenze nel 1498.

Il rogo del 1498: la fine di un sogno

L'entusiasmo popolare, si sa, è volubile. Di fronte alle minacce di Roma e al perdurare delle difficoltà economiche, il consenso attorno a Savonarola iniziò a sgretolarsi. La città era stanca di quel clima di perenne penitenza e tensione apocalittica.

La fine arrivò nella primavera del 1498. Savonarola fu arrestato, processato (in un procedimento in cui la sentenza era già scritta) e infine condannato a morte come eretico e scismatico. Il 23 maggio 1498, in Piazza della Signoria, Girolamo Savonarola fu impiccato e arso sul rogo insieme a due suoi fedeli confratelli.

Le sue ceneri furono gettate in Arno, affinché non ne rimanesse alcuna reliquia. L'aristocrazia fiorentina riprese gradualmente il potere perduto, smantellando l'esperimento popolare.

Conclusione: l'eredità di un profeta disarmato

La morte di Savonarola segnò la fine del tentativo di Firenze di porsi come guida morale autonoma in un'Italia ormai preda degli eserciti stranieri. L'oligarchia che riprese il controllo cercò di navigare nelle acque tempestose delle guerre tra Francia e Spagna, ma senza la bussola medicea né quella profetica.

Il destino di Firenze rimase incerto fino al 1512, quando i Medici sarebbero tornati in città, non più chiamati dal popolo, ma imposti dalle armi spagnole e dalla diplomazia pontificia di Giulio II (l'artefice della Lega di Cambrai).

L'esperimento savonaroliano rimane però una testimonianza potente di come, all'inizio delle Guerre d'Italia, la crisi politica si fosse saldata con un'ansia di rinnovamento religioso che, seppur sconfitta sul rogo, anticipava i grandi temi della Riforma che avrebbero presto scosso l'Europa intera.

E mentre Firenze chiudeva la sua parentesi repubblicana radicale, il resto d'Italia si preparava a subire nuovi sconvolgimenti, come il brutale Sacco di Roma che, pochi decenni dopo, sembrò dare tragicamente ragione alle profezie di sventura del frate.

Bibliografia

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Copertina di Storia moderna 1492-1848
Storia moderna 1492-1848

Carlo Capra

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Matteo Galavotti

Studente di Storia

Ciao, sono al secondo anno di storia all'università e scrivo articoli man mano che studio per gli esami. Mi piace programmare siti web dunque eccomi qua.

Articolo pubblicato il 08/12/2025
Ultimo aggiornamento il 10/12/2025

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