Nel 1494, il re di Francia Carlo VIII attraversa le Alpi con un'artiglieria mai vista prima, segnando la fine dell'equilibrio italiano. La sua conquista di Napoli fu talmente rapida da scioccare i principi della penisola, che si unirono nella Lega di Venezia per costringerlo al ritiro. Questo evento aprì la porta a sessant'anni di conflitti tra le potenze europee sul suolo italiano.
Pubblicato: 09/12/2025
Ultima modifica: 10/12/2025
Per comprendere il terremoto che sta per abbattersi sulla penisola, dobbiamo guardare l'Italia del 1492. Fino a quel momento, la politica italiana si era retta su un delicato gioco di pesi e contrappesi, sancito dalla Pace di Lodi del 1454. Ma nel 1492 muoiono due figure cardine: papa Innocenzo VIII e, soprattutto, Lorenzo de' Medici.
Lorenzo il Magnifico era considerato l'"ago della bilancia" dell'equilibrio italiano. Con la sua scomparsa, le ambizioni dei singoli stati iniziano a sfuggire di mano. A Milano c'è Ludovico il Moro, che ha usurpato il potere al nipote e cerca legittimazione; a Roma sale al soglio pontificio lo spagnolo Rodrigo Borgia (Alessandro VI), uomo di vita scandalosa e grandi ambizioni familiari; a Venezia la Repubblica guarda sempre alla terraferma con fame di espansione.
È l'inizio di quel lungo e sanguinoso periodo noto come Guerre d'Italia. In questo quadro di fragilità interna, i principi italiani commettono un errore fatale: sottovalutano le nuove dimensioni delle monarchie nazionali europee. Pensano di poter usare il Re di Francia come una pedina nei loro giochi locali. Non hanno capito che, aprendo la porta a Carlo VIII, non stanno invitando un alleato, ma un padrone.
Carlo VIII, re di Francia, non guardava all'Italia per un capriccio. Egli rivendicava diritti dinastici precisi sul Regno di Napoli, derivanti dalla sua discendenza angioina. Ma il giovane re non era uno sprovveduto. Prima di muovere guerra, si assicurò di avere le spalle coperte a livello internazionale.
Con una mossa diplomatica calcolata, nel 1493 firmò la pace di Senlis con l'Impero e cedette alcune province di confine alla Spagna. Voleva avere le mani libere per l'impresa italiana. E nella penisola? Qui trovò porte spalancate. Ludovico il Moro, signore di Milano, e la stessa Venezia lo incoraggiarono, sperando che la discesa francese umiliasse il re di Napoli, Ferrante d'Aragona, loro rivale.
Era un calcolo miope. Machiavelli e Guicciardini, col senno di poi, avrebbero rimproverato aspramente questi governanti per aver anteposto il loro "particulare" (il proprio interesse immediato) alla sicurezza collettiva della penisola, ignorando la fragilità interna del sistema italiano.
Quando nell'agosto 1494 Carlo VIII passò le Alpi, gli italiani si trovarono di fronte a qualcosa di mai visto. Non era una delle solite bande di ventura che si combattevano con poche perdite. Era un esercito nazionale, massiccio e moderno.
Tra le sue file marciavano 5.000 mercenari svizzeri, fanti temutissimi che combattevano in quadrati compatti di picchieri, una tattica che aveva già mandato in pensione la vecchia cavalleria feudale. Ma la vera novità, quella che faceva tremare le mura delle città solo a guardarla, era il parco d'artiglieria.
Le fonti dell'epoca ci dicono che "non si era mai visto l'uguale in Italia". Cannoni più leggeri, trainati da cavalli e non da buoi, capaci di spostarsi velocemente e di sparare palle di ferro con una frequenza devastante. Di fronte a questa potenza di fuoco, le vecchie fortificazioni medievali italiane, alte e sottili, erano inutili come castelli di carta.
La marcia di Carlo VIII verso sud fu talmente rapida da entrare nel mito. Si disse che il re di Francia aveva conquistato l'Italia "col gesso", ovvero limitandosi a mandare avanti i suoi furieri a segnare col gesso le porte delle case dove i soldati avrebbero alloggiato. Quasi senza sguainare la spada.
Nel febbraio 1495, Carlo entrò a Napoli. Fu accolto non come un invasore, ma quasi come un liberatore dai baroni napoletani, che avevano odiato il vecchio re Ferrante e si erano ribellati più volte. Il nuovo re Ferdinando II d'Aragona, nipote di Ferrante, non poté far altro che fuggire, mentre i francesi prendevano possesso del regno senza incontrare resistenza reale.
Sembrava un trionfo assoluto. L'impresa si era chiusa in pochi mesi, dimostrando a tutta Europa che l'Italia, culla del Rinascimento e della ricchezza, era in realtà un gigante dai piedi d'argilla, incapace di difendersi militarmente di fronte alle nuove potenze nazionali.
Solo quando videro Carlo VIII padrone di Napoli, gli stati italiani si svegliarono dal loro torpore. La facilità con cui la Francia aveva passeggiato per la penisola terrorizzò Venezia, Milano e il Papa. Capirono che se non avessero agito subito, l'indipendenza italiana sarebbe finita per sempre.
Il 31 marzo 1495, a Venezia, venne siglata in fretta e furia una Lega Antifrancese (o Lega Santa). Era un'alleanza eterogenea che comprendeva:
L'obiettivo era semplice: intrappolare Carlo VIII nel Mezzogiorno e tagliargli la via del ritorno verso la Francia. Il re, capito il pericolo di rimanere isolato lontano dalle sue basi, lasciò alcuni presidi a Napoli e iniziò una precipitosa risalita verso nord nel maggio 1495.
Il momento della verità arrivò il 6 luglio 1495 a Fornovo, sul fiume Taro, vicino a Parma. L'esercito della Lega, costituito per la maggior parte da truppe veneziane, cercò di sbarrare la strada all'esercito francese in ritirata.
Fu uno scontro confuso e sanguinoso. Formalmente, l'esercito della Lega non riuscì a distruggere quello francese. Carlo VIII, pur subendo perdite e perdendo gran parte del bottino accumulato a Napoli, riuscì a sfondare le linee e a proseguire la sua marcia verso le Alpi, mettendosi in salvo.
Intanto, nel sud, Ferdinando II d'Aragona riprendeva il controllo del Regno di Napoli con l'aiuto delle truppe spagnole e della flotta veneziana. L'avventura francese sembrava essersi conclusa con un nulla di fatto: i confini erano tornati (quasi) quelli di prima.
Dire che "non successe nulla", però, sarebbe un errore gravissimo. La discesa di Carlo VIII aveva lasciato ferite profonde e irreversibili nel tessuto politico italiano.
In Toscana, il passaggio del re francese causò il crollo del regime mediceo. Piero de' Medici, figlio del Magnifico, fu cacciato dai fiorentini sdegnati per la sua eccessiva arrendevolezza verso l'invasore. Questo vuoto di potere aprì la strada alla predicazione di Girolamo Savonarola e alla sua Repubblica "piagnona", un esperimento politico-religioso unico nel suo genere che cercò di fare di Firenze la nuova Gerusalemme.
Inoltre, città come Pisa colsero l'occasione per ribellarsi al dominio di Firenze, iniziando una guerra locale che sarebbe durata fino al 1509.
Ma la lezione più dura fu quella geopolitica: la spedizione aveva mostrato la via. Aveva dimostrato che l'Italia era ricca, divisa e militarmente debole.
La discesa di Carlo VIII del 1494 non fu una semplice scorreria. Fu l'evento che ruppe l'argine. Da quel momento in poi, la penisola divenne il campo di battaglia prediletto per lo scontro tra le grandi potenze europee, Francia e Spagna.
Il successore di Carlo, Luigi XII, non avrebbe tardato a riprendere i progetti di conquista, puntando questa volta non solo a Napoli ma anche a Milano, stringendo nuovi accordi diplomatici come la Lega di Cambrai che porterà alla drammatica disfatta veneziana di Agnadello nel 1509.
L'Italia del Rinascimento, con le sue corti splendide e i suoi artisti geniali, stava per entrare in una lunga stagione di dominazione straniera. Un'epoca di conflitti che, passando per eventi traumatici come il Sacco di Roma, si sarebbe cristallizzata solo decenni dopo, con la pace definitiva tra le superpotenze sancita dalla Pace di Cateau-Cambrésis del 1559.
Studente di Storia
Ciao, sono al secondo anno di storia all'università e scrivo articoli man mano che studio per gli esami. Mi piace programmare siti web dunque eccomi qua.
Articolo pubblicato il 09/12/2025
Ultimo aggiornamento il 10/12/2025