Nel maggio 1527, 12.000 mercenari tedeschi, i lanzichenecchi, calarono su Roma fuori controllo. Quello che seguì fu uno dei traumi più profondi della storia occidentale: la Città Eterna devastata, il Papa assediato in Castel Sant'Angelo e il Rinascimento ferito a morte da quella che molti lessero come una "punizione divina" sulla Chiesa corrotta.
Pubblicato: 09/12/2025
Ultima modifica: 10/12/2025
Per comprendere come si arrivò a quella che molti contemporanei definirono l'apocalisse, dobbiamo riavvolgere il nastro della storia delle Guerre d'Italia. Siamo all'indomani di un evento sismico: la Battaglia di Pavia del 1525. In quell'occasione, l'Imperatore Carlo V non solo aveva sbaragliato l'esercito francese, ma aveva addirittura catturato il re Francesco I, portandolo prigioniero a Madrid.
Tutto sembrava deciso. Con il Trattato di Madrid del gennaio 1526, Francesco I, per riottenere la libertà, aveva giurato di rinunciare a Milano e di cedere la Borgogna. Ma la politica, si sa, è l'arte del possibile e spesso dello spergiuro. Appena rientrato in Francia, il re dichiarò nullo il trattato perché estorto con la forza. Non solo: nel maggio 1526 si fece promotore di una vasta alleanza anti-imperiale, la Lega di Cognac.
Chi aderì a questa lega? Tutti coloro che tremavano di fronte allo strapotere di Carlo V: la Francia, ovviamente, ma anche Firenze, la Repubblica di Venezia (sempre attenta agli equilibri dopo i rischi corsi con la Lega di Cambrai) e, fatto decisivo, il Papa Clemente VII, un Medici.
Agli occhi di Carlo V, un sovrano che viveva la sua missione imperiale con una religiosità profonda e quasi messianica (ricordiamo l'influsso dei suoi precettori fiamminghi e di Gattinara), il comportamento del Papa fu un colpo al cuore. Il Vicario di Cristo si alleava con i nemici dell'Impero? Era un tradimento politico e spirituale intollerabile. La reazione non si fece attendere e mise in moto una macchina infernale che nessuno sarebbe più riuscito a fermare.
Nei primi mesi del 1527, un'armata imperiale iniziò a discendere la penisola italiana. Non era un esercito come gli altri. Il suo nucleo più temibile era costituito da circa 12.000 lanzichenecchi. Chi erano? Erano mercenari tedeschi, fanti addestrati a combattere in formazioni chiuse con lunghe picche, sulla scia della tradizione svizzera che avevamo visto all'opera fin dalla Discesa di Carlo VIII.
Ma c'era un dettaglio che rendeva questi uomini particolarmente pericolosi in quel frangente: la fede. Quasi tutti i lanzichenecchi erano luterani. Per loro, marciare su Roma non era solo una campagna militare, era quasi una crociata alla rovescia. Andavano a punire la "Babilonia", la sede dell'Anticristo, il covo della corruzione romana.
A rendere la situazione esplosiva intervenne il fato. Durante la marcia verso sud, il comandante dell'esercito imperiale, il conestabile di Borbone, morì. L'evento fu catastrofico. Improvvisamente, 12.000 uomini armati, feroci, affamati e senza paga, si ritrovarono senza capi. Nessuno aveva più l'autorità per trattenerli o disciplinarli. Divennero una forza della natura, un fiume in piena guidato solo dalla fame e dall'odio religioso. Discesero lo stivale senza incontrare resistenza reale – i francesi e gli alleati della Lega tardavano colpevolmente a intervenire – fino a giungere, ai primi di maggio, sotto le mura della Città Eterna.
Il 6 maggio 1527 è una data che rimarrà scolpita a fuoco nella memoria europea. Le difese di Roma cedettero e l'orda dei lanzichenecchi si riversò nelle strade. Quello che seguì fu un orrore che le fonti dell'epoca descrivono con toni apocalittici.
Non fu un'occupazione militare, fu una devastazione sistematica. I soldati, fuori controllo, si abbandonarono a un orribile saccheggio. Palazzi nobiliari vennero sventrati alla ricerca di bottino, le chiese (intoccabili in qualsiasi guerra tra cristiani) furono profanate. Si videro scene inaudite: soldati ubriachi che vestivano i paramenti sacri per scherno, altari usati come tavoli da taverna, opere d'arte distrutte dalla furia iconoclasta dei luterani.
L'eco dell'evento fu immensa. Per molti contemporanei, e per la stessa propaganda imperiale che cercava di giustificare l'accaduto, quello non era stato un semplice atto di guerra, ma un "giudizio di Dio" sulla Chiesa corrotta. Sembrava che le profezie di sventura lanciate decenni prima da Girolamo Savonarola contro i vizi del clero si stessero tragicamente avverando per mano di quei barbari del Nord.
Il Rinascimento romano, con i suoi fasti e la sua mondanità, subiva un colpo mortale.
E il Papa? Clemente VII riuscì a salvarsi per un soffio. Mentre i lanzichenecchi irrompevano nel Vaticano, il Pontefice fuggì lungo il Passetto di Borgo e si rifugiò nella fortezza di Castel Sant'Angelo.
Lì rimase assediato per mesi. Dagli spalti della fortezza, il Papa poteva vedere il fumo degli incendi che divoravano la sua città, impotente e umiliato. Era l'immagine plastica del fallimento della politica temporale del papato. Clemente VII aveva cercato di giocare la partita delle grandi potenze, di destreggiarsi tra Francia e Spagna come un qualsiasi principe italiano, e il risultato era la distruzione della capitale della cristianità.
La prigionia del Papa ebbe ripercussioni immediate anche fuori da Roma. A Firenze, la notizia che il protettore della famiglia Medici era in trappola diede coraggio agli oppositori. I fiorentini approfittarono della disgrazia del pontefice per sollevarsi, cacciare nuovamente i Medici e ristabilire un governo repubblicano. Sembrava che tutto il sistema di potere costruito dai papi medicei stesse crollando.
La guerra, tuttavia, non era finita. L'anno seguente, nel 1528, la Francia tentò un'ultima spallata. Un esercito francese mosse verso il Regno di Napoli e occupò Genova, snodo marittimo fondamentale. Sembrava che la Lega di Cognac potesse ancora ribaltare le sorti del conflitto.
Ma qui avvenne l'evento che segnò definitivamente il destino dell'Italia. L'armatore genovese Andrea Doria, fino ad allora alleato dei francesi, cambiò improvvisamente campo. Passò con le sue galere dalla parte dell'Imperatore Carlo V e impose ai suoi concittadini una riforma oligarchica.
Fu il colpo di grazia per i francesi. Rimasti senza appoggio navale, con le linee di rifornimento tagliate e decimati da una pestilenza, dovettero ritirarsi dal Mezzogiorno senza aver concluso nulla. La Spagna aveva vinto.
Di fronte all'evidenza della sconfitta, si giunse alla resa dei conti diplomatica. Nel giugno 1529, Carlo V e il Papa firmarono la Pace di Barcellona. Fu una pace amara per Clemente VII, che dovette accettare la supremazia imperiale in Italia. In cambio, però, ottenne l'aiuto dell'esercito di Carlo V per riportare i Medici a Firenze (la città capitolerà nell'agosto 1530 dopo un duro assedio).
Poco dopo, nel luglio 1529, anche Francesco I si piegò firmando la Pace di Cambrai, rinunciando definitivamente ai domini italiani ma conservando la Borgogna. L'illusione di equilibrio della Pace di Noyon era ormai un lontano ricordo.
L'epilogo di questa tragedia si svolse nell'inverno del 1530 a Bologna. In una cerimonia fastosa, che voleva cancellare l'orrore del Sacco, Clemente VII incoronò Carlo V imperatore in San Petronio. Fu l'ultima volta nella storia che un Papa incoronò un imperatore. Quella corona posata sulla testa dell'Asburgo sanciva che l'Italia non era più libera: era diventata una provincia dell'Impero spagnolo.
Il Sacco di Roma del 1527 non fu solo un episodio militare. Fu lo spartiacque psicologico e culturale del Cinquecento italiano. Spazzò via l'ottimismo umanistico e costrinse la Chiesa a un doloroso esame di coscienza che avrebbe portato, di lì a poco, al Concilio di Trento e alla Controriforma.
Politicamente, sancì la fine delle ambizioni di indipendenza degli stati italiani. Da quel momento in poi, il destino della penisola sarebbe stato deciso a Madrid, una realtà geopolitica che sarebbe stata formalizzata decenni dopo con la Pace di Cateau-Cambrésis, ma che era nata tra le rovine fumanti di Roma e le mura assediate di Castel Sant'Angelo.
Studente di Storia
Ciao, sono al secondo anno di storia all'università e scrivo articoli man mano che studio per gli esami. Mi piace programmare siti web dunque eccomi qua.
Articolo pubblicato il 09/12/2025
Ultimo aggiornamento il 10/12/2025